Contributo di Domenico Galbiati.
Un obiettivo trasversale e comune che, anche in Lombardia, tutte le forze politiche dovrebbero darsi, in vista della prossima consultazione regionale, concerne la riduzione dell’astensionismo. Una delle cause che lo sostengono è sicuramente rappresenta dai toni rissosi ed esasperati di un confronto politico che scivola spesso nell’invettiva o addirittura nell’insulto. Se ne ricava l’impressione che una politica inconcludente altro non sia se non lo sterile esercizio di una dialettica tra le parti sostanzialmente fine a sé stessa o meglio orientata solo a nude e crude ragioni di potere. E questo, detto in altri termini, significa buttare benzina sul fuoco del populismo, allontanare i cittadini dal piano dell’argomentazione e sospingerli sul versante della reazione emotiva. Senonché tutto ciò che concorre ad indebolire la “politica” intesa come impegno collettivo di riflessione sui temi della convivenza civile, apre varchi profondi nelle maglie di un discorso pubblico che finisce per cedere alle suggestioni di poteri che poco o nulla hanno a che vedere con la democrazia. È possibile tornare a toni pacati, a quella “mitezza” della discussione che ne favorisca una misura oggettiva, altrimenti smarrita? È possibile, in altri termini, che la politica abbia rispetto di sé stessa, della sua funzione e, soprattutto, dei cittadini cui si rivolge? La campagna elettorale che Letizia Moratti sta intraprendendo in vista del voto regionale del prossimo 12 febbraio, dimostra che sì, si può adottare un linguaggio civile, ci si può confrontare senza strepiti ed urla, si può fare di una politica che sia “mite” la chiave di volta della sua efficacia.
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