Putin bombarda e spara anche sul nostro Natale, in attesa di quello ortodosso. Quando, con ogni probabilità, comparirà in pose devote, accanto a Kirill, nelle fastose celebrazioni spendenti di ori e di luce, com’è tipico della tradizione d’Oriente. Intanto che noi ci arrabattiamo con gli emendamenti alla legge di bilancio e con gli acquisti di Natale, con il cappone ed il panettone, con il capitone ed i cannoli, con le doglie del PD che, con la nuova “carta” fondativa, soffre il travaglio di un parto podalico, con le sbruffonate dei 5Stelle, con le liti intestine alla Lega, con l’affanno penoso dei Fratelli d’Italia alle prese con un compito più grande di loro, Putin spara sul popolo ucraino, colpisce ed uccide, gratuitamente, mira alla popolazione civile. Con buona pace dei sottili e pensosi strateghi che scommettevano sulla voglia di pace del dittatore russo, sulle nequizie della NATO, sulla perversione bellicista di Biden. Forse neppure lo sa e neppure lo vorrebbe, ma il popolo ucraino soffre e combatte anche per noi. C’è qualcosa di “malvagio” nella guerra putiniana. Qualcosa che sfugge alle analisi strategiche e va oltre le letture geo-politiche, come se questa fosse il paradigma di tutte le guerre. Non un “armagheddon”, per carità, non l’onirica visione della battaglia finale tra il bene ed il male, ma, in qualche misura, uno spartiacque, una linea di demarcazione tra due stagioni della vicenda umana che, osmoticamente, passano dall’una all’altra. Dall’età della ragione illuministica che si immaginava, in prospettiva, onnipotente, alla stagione del dubbio, della precarietà, al momento del frammento e di un inafferrabile timore che genera una sottile angoscia. E noi fingiamo di non vederla. Al contrario, il popolo ucraino le sue angosce non le può nascondere sotto la coltre dei consumi. È costretto ad affrontarle di petto, ad esempio contando le migliaia e migliaia di compatrioti – e tra questi centinaia e centinaia di bambini che hanno conosciuto solo l’alba della vita – che, lo scorso gennaio, hanno celebrato festosamente il loro Natale e mai avrebbero immaginato che sarebbe stato l’ultimo. È così la moltitudine di famiglie russe, sparse per le più remote periferie dell’impero che forse, quando sarà il momento di festeggiare il Natale ortodosso, riserveranno a tavola un posto vuoto al loro ragazzo che non tornerà. Anche a loro ed alla lotta di resistenza del popolo ucraino va indirizzato un pensiero di rispetto ed un omaggio di solidarietà da parte di chiunque riviva la notte di Betlemme.
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